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Roberto Metrangolo. Corruttori e Corrotti. Ipotesi psicoanalitiche, di Laura Ambrosiano, Marco Sarno (a cura di)

Laura Ambrosiano, Marco Sarno (a cura di), Corruttori e Corrotti. Ipotesi psicoanalitiche, Mimesis, Milano 2016, pp. 194, Euro 18,00

Il libro Corruttori e Corrotti, a cura di Laura Ambrosiano e Marco Sarno, edito da Mimesis, assume come punto di partenza delle Ipotesi psicoanalitiche la presa d’atto che il contrasto della corruzione non possa trovare una soluzione nella dialettica reato-pena.
La corruzione ha carattere sistemico. È un fenomeno “gruppale e subculturale” che ha capacità di permeare le istituzioni pubbliche e di assorbire sempre di più la sanzione penale e la condanna morale.
In che modo un fenomeno di devianza sociale interroga il pensiero psicoanalitico?
Laura Ambrosiano esclude, in linea di principio, la ricerca di una qualificazione psicopatologica individuale di corrotti e corruttori. È un’ipotesi che presenta problemi teorici e metodologici ampiamente analizzati nella psicologia clinica della devianza. Il suo limite fondamentale è quello di proporre l’illusione di utilizzare diagnosi o profili di personalità per segnare una demarcazione rassicurante tra normali e devianti.
Nella sua introduzione l’autrice propone di considerare la corruzione non come questione che possa ricondursi alla semplice relazione tra corrotti e corruttori, ma che “accade” in ragione di una cultura che permea anche la socità civile. Il compito della psicoanalisi diventa, dunque, illuminare «la natura dei funzionamenti mentali primitivi che sostengono la cultura in cui siamo immersi» e le vicende attraverso le quali un bambino ha potuto trovare e modificare, piuttosto che assorbire acriticamente, la mentalità veicolata dai meccanismi arcaici primari.
La dialettica tra individuo e gruppo, tra identificazione e differenziazione, tra innovazione e conformismo, nel processo di sviluppo trova radice e riproduzione in un funzionamento primario di appartenenza. Rispetto a questa dinamica il rischio è la neutralizzazione del conflitto, la rinuncia a un lavoro psichico che promuova soggettivazione segnata da qualcosa di nuovo e personale.
Il gruppo segnato da dinamiche corruttive obbliga l’individuo, in ragione di una seduzione che promette sicurezza, risorse, strumenti, realizzazioni, a scegliere tra inclusione e marginalità. In tal modo annulla quello spazio in cui l’appartenenza possa accogliere e sostenere i movimenti del soggetto.
Un’area in cui è evidente questa dimensione è la zona grigia della “piccola corruzione”; fenomeno nel quale appare evidente come le “ambizioni realizzative” possano trovare nelle burocrazie e nelle norme un limite non accettabile che consegna il soddisfacimento a comportamenti caratterizzati da una “coazione antidepressiva”.
Diventa fondamentale, a tal proposito, la felice dialettica che Ambrosiano propone tra lo schema ripetitivo del vittimismo, segno di traumi precoci che alimentano la fantasia, per così dire, di un mondo che è stato sottratto e che bisogna riprendersi, e il lavoro psichico come antidoto alle derive corruttive e alla paura della passività personale.

Nel saggio di Marco Sarno la corruzione, come oggetto di riflessione psicoanalitica, rimanda alla «mentalità malata di un gruppo».
Essa trova radici profonde in quel “potere magico”, dentro la relazione primaria, attraverso cui la madre, che tutto comprende, sopporta e perdona, garantisce la sicurezza del bambino. È l’esportazione di questa dinamica dalla relazione duale alle relazioni interpersonali allargate che ostacola la costituzione di uno spazio impersonale e pubblico.
L’obiettivo della protezione della «cellula familiare, esportato nel contesto gruppale, porta con sé l’intransigenza del compromesso assoluto a tutela dell’interesse privato, fine al quale è sacrificato ogni valore collettivo considerato esterno/estraneo», sostiene Sarno.
Attraverso un transito nella lezione di Fornari sui codici affettivi, l’autore configura, nell’area della criminalità-corruzione, il potere di un «codice materno squilibrato e assoluto», che alimenta il bisogno di un’appropriazione vorace, in presenza di una «posizione pseudopaterna primitiva, animata dall’introiezione dell’immagine materna che tutto concede e tutto soddisfa» che non può differenziare e segnare il limite.
Il gruppo in attacco-fuga che si configura non può ospitare l’esperienza individuale, segnato com’è da onnipotenza e paranoia. La dimensione della concretezza e la ripetizione delle condotte del “gruppo criminale” discende dall’impossibilità di separarsi dall’oggetto “grande madre” senza rischiare un vuoto terrorizzante.

Da una diversa prospettiva Pietro Rizzi sviluppa un’interessante linea di pensiero che individua nel rapporto col denaro, nella sua qualità di essere «fattore unificante, concreto, sfuggente, onnipresente, onnipotente», la radice dei comportamenti corruttivi.
Le fonti ontogenetiche del rapporto col denaro sono rintracciate nel processo di integrazione del Sé, all’interno del quale è possibile evidenziare un’“esperienza inconscia fondativa” che segna il rapporto futuro con il denaro e la qualità delle teorie infantili sul denaro che segnano i vissuti e i fantasmi legati alla vita economica.
Un vissuto di non integrazione genera ambiguità e incapacità di distinguere entità morali contraddittorie se non opposte. Si tratta di uno stato mentale che può emergere in soggetti normali che, in situazioni traumatiche, possono rivelarlo nell’area dei comportamenti corruttivi.
La fantasia onnipotente di una espansione senza limiti del Sé, del potere e della ricchezza, recluterebbe il denaro come suo strumento contro qualsiasi ostacolo a difesa dalle angosce di impotenza, violenza incontrollata, annichilimento.

Il contributo di Manoukian, a carattere psicosociologico, individua due aree di interesse in ambito organizzativo. La prima riguarda i fenomeni di corruzione nei rapporti interindividuali o di piccoli gruppi. Essi sono finalizzati a raggiungere vantaggi strumentali e privilegi, attraverso l’elusione di leggi e controlli.
La corruzione può rappresentare il modo di ottenere ciò che è precluso da un’amministrazione pubblica attraversata da eccessi normativi e da dinamiche burocratiche incapaci di garantire in modo equo servizi essenziali che, nelle società complesse, arginano frammentazioni e disgregazioni culturali e fronteggiano l’angoscia rispetto all’«irruzione di vicende impreviste»
I corruttori neutralizzano gli ostacoli burocratici che impediscono di realizzare i propri progetti; i corrotti valorizzano il proprio ruolo non solo in termini di vantaggi economici di affermazione di potere che sorregge un’immagine di sé che negli apparati burocrati ha tendenze a svalutarsi e a non incontrare processi di identificazione positiva.
La seconda area si riferisce ad una dinamica più preoccupante che riguarda, invece, i sistemi di relazioni strutturate tra gruppi criminali e sistema economico legale. Questa relazione, in presenza di un’evoluzione dei soggetti criminali verso la fornitura di servizi utili all’economia legale, infiltra senza suscitare allarme dimensioni importanti della vita sociale e va a costituire quell’area in cui interagiscono l’illegalità e la condizione formale di legalità e trasparenza del tessuto economico.

Laura Ambrosiano, nel suo saggio conclusivo della prima parte del libro, torna su una riflessione più propriamente psicoanalitica rivolta ad «interro- gare la corruzione per cogliere il funzionamento mentale che la sorregge».
L’assunto di base dell’autrice è che la corruzione possa essere considerata un sintomo «di un malessere collettivo, espressione di un disagio, di una mancanza di fiducia nella communitas e nella possibilità di trovare in essa uno spazio di espressione e di sviluppo per il Sé».
A partire da questa premessa si avvia l’esplorazione di alcuni “luoghi” segnati da un funzionamento mentale diffuso che richiama aspetti del funzionamento delle masse, per come sono stati evidenziati nella riflessione di Freud, di Simon Weil e di Elias Canetti.
Il gruppo massa è il luogo in cui avviene una «rottura del nesso sociale per il tramite di agiti». Non si tratta dell’aspetto funzionale individuato dal saggio precedente e relativo alla violazione di regole sociali funzionale a rimuovere ostacoli all’affermazione del gruppo, impossibile diversamente; ma anche di evitare il lavoro psichico che sia in grado di trasformare la «paura dinanzi alla realtà».
Particolarmente suggestiva appare la proposta di considerare nel gruppo massa l’elusione della pensosità e della tensione etica, entrambe dimensioni rivolte a cogliere le complesse implicazioni delle nostre azioni.
L’elusione del pensiero segna il funzionamento del gruppo corrotto, in termini che ricalcano il funzionamento della massa, identificata come gros animal «incapace di pensiero, somatico, corporeo e ottuso», che richiede una sorta di «macchinario dell’istantaneo» che non consente soste di pensiero di fronte alle paure e alle tensioni
Anche la famiglia massa può coinvolgere il bambino in una vicenda in cui la costruzione di uno spazio autosufficiente, che assicura protezione e sicurezza, ha come conseguenza un vuoto di pensiero, generando una mentalità corrotta in quanto non ha bisogno di cercare il senso delle cose, degli eventi, degli incontri, dell’altro. L’individuo, paradossalmente, è lasciato solo con il suo «bisogno-fame implacabile di verità assolute, feticci e realtà allucinata».
La politica massa e il suo linguaggio recente, infine, offrono una ulteriore dimensione in cui la suggestione delle identificazioni senza scarti, la seduzione rassicurante, di fronte alla complessità sociale, di un maternage dei cittadini che promette sicurezza in un mondo aconflittuale, che libera dalla fatica di pensare, hanno una relazione con la genesi dei fenomeni corruttivi.
L’intersezione tra questa mentalità di gruppo e le fantasie onnivore e onnipotenti genera un terreno di coltura della corruzione.
La corruzione come fenomeno psichico, dunque, poggia su un funzionamento mentale che può permeare dall’origine la famiglia che non attiva aperture, curiosità e nella quale la funzione paterna non è in grado di presentare al bambino lo spazio esterno come luogo appassionante.
In essa la dialettica tra legame e separatezza, tra condivisione e tolleranza delle differenze appare insostenibile.
L’itinerario concettuale della psicoanalisi rispetto alla comprensione dei fenomeni corruttivi trova un limite che Sarno esprime in modo efficace: «Quando la psicoanalisi allarga il suo sguardo al di fuori della stanza d’ana- lisi, si prende indubbiamente delle libertà rischiose: scopre la fragilità dei suoi strumenti in campi così complessi, e con molta ragione non può che ritornare presto nel suo terreno».

La seconda parte del libro si apre con il saggio Nel Tradimento e corruzione. Sul potere corruttivo dell’amore materno sul buon uso del tradimento. L’autrice, Marta Badoni individua “nel processo di soggettivazione” gli aspetti del rapporto tra il bambino e l’ambiente di cura, la dialettica tra lealtà all’oggetto primario e autonomia-tradimento. In questa vicenda universale l’amore materno può trasformarsi in una rete che impiglia, attiva colpa e richiede una forma di consegna al “sapere materno e ai suoi dettami”, che non permette al bambino di fidarsi delle sue percezioni e della funzione di giudizio che ne è intimamente connessa.
I “malintesi dell’amore materno” possono corrompere, cioè guastare, alterare contaminare; rispetto a questa scenario il tradimento pu assumere la funzione di conservare la propria identità e il proprio sé.

La comunità contaminata di Casale Monferrato: aspetti corruttivi della governance e sopravvivenza psichica ripercorre la vicenda di un dramma di una comunità all’interno della quale le risorse vitali, garanzia di sviluppo e di identificazione idealizzata con “una potente madre/fabbrica”, hanno veicolato un veleno mortale, in un clima corruttivo. L’autrice, Antonella Granieri, descrive in modo emozionante un “intervento psicoanalitico” rivolto a gruppi di cittadini casalesi e ai loro familiari, per sostenere la possibilità di una rappresentazione psichica di un trauma comunitario.

Il libro che procede nell’analisi di aspetti più differenziati e specifici che consentono uno sguardo sui fenomeni corruttivi, accoglie i contributi di Noè Loiacono su Pazienti difficili da raggiungere: contaminazione e corruzione; di Cristina Saottini su Corruzione e affiliazione. Il patto narcisistico nella costruzione dell’identità sociale degli adolescenti; di Ronny Jaffé sugli elmenti corruttivi nella trasmissione generazionale.

In conclusione Fabio Castriota offre una rilettura del “Moby Dick” di Melville trasferendo, per così dire, tutta la questione al livello dei significati sempre aperti, imperscrutabili dell’esistenza umana, sospesa tra due possibilità, guardare l’abisso o fermarsi sul limite dell’insondabile. Rispetto a tutto ciò «Achab e Ismaele sembrano rappresentare due diversi modi in cui la fragilità umana può rapportarsi a questo tema esistenziale, oltre che psicoanalitico».

Nei fenomeni corruttivi analizzati dagli autori, si intravede quella aporìa del potere di cui parla Simon Weil. Il potere, nel suo incedere oltre ogni limite, distrugge le basi materiali della sua stessa possibilità. In tal senso la corruzione, nella sua accezione più ampia e non coincidente con quella giuridica, risulta esempio indubitabile.

 

Roberto Metrangolo

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