Daniela Matranga, Alessandra Ceola. La centralità del gruppo nel lavoro clinico e in un’esperienza generativa

Alla luce dell’esperienza vissuta negli ultimi anni nei centri di consultazione e psicoterapia psicoanalitica (C.C.P.P.) della Società Italiana Psicoterapia Psicoanalitica (S.I.P.P.), ha preso forma una domanda semplice ed importante: esistono differenze fra le consultazioni effettuate in uno studio privato e quelle che prendono vita all’interno di un contesto istituzionale, come quello dei C.C.P.P.? O ancora, scegliendo un diverso vertice di osservazione: in che modo il contesto e il luogo fisico in cui si opera influiscono sul lavoro di consultazione? Le riflessioni qui espresse al riguardo prendono vita sia da scambi teorico-clinici avvenuti fra i partecipanti del C.C.P.P. Veneto sia dall’esperienza del C.C.P.P. Sardo, sorto nel grembo di quella realtà.

Riavviamo il nastro ed osserviamo più da vicino ciò che accade dall’inizio di una nuova consultazione, lasciando sullo sfondo tutto ciò che lo consente, in termini di disponibilità dei terapeuti, gruppo di supervisione, organizzazione delle risorse e visione del progetto.

In principio c’è una domanda, quella con cui il paziente contatta il C.C.P.P.. Sia essa una richiesta di aiuto, di orientamento o di qualsivoglia genere, nella consultazione istituzionale essa è rivolta al “centro” più che al singolo terapeuta. Nella molteplicità di considerazioni che si possono articolare intorno a questa domanda si nota, in prima battuta, che se solitamente il paziente sceglie di affidare la propria sofferenza allo sguardo ed alla professionalità del singolo professionista, nel rivolgersi al C.C.P.P. egli chiede “qualcuno” o, talvolta, “un luogo” che lo accolga, evidenziando così l’aspetto impersonale della richiesta. Dunque l’aspettativa è rivolta al centro stesso, inteso come gruppo di terapeuti: esso è inserito ed è espressione di un’istituzione ben più estesa, in un serie di cerchi concentrici via via più ampi e complessi. Il C.C.P.P., investito dalla richiesta del soggetto, è anche luogo fisico, in cui ci si muove e si opera. All’aspettativa rispetto ad un posto vero e proprio, una sorta di “edificio”, appartenente al piano sincretico dell’istituzione, spesso corrisponde una necessità intima, e dai risvolti anche inconsci, di rintracciare e potersi appoggiare ad elementi di concretezza e stabilità: forse una sorta di boa a cui potersi sostenere per stare a galla nell’affannosa ricerca di un porto sicuro in cui approdare per affrontare la confusione interna.

Parallelamente e contemporaneamente, la domanda viaggia ed arriva implicitamente o esplicitamente al piccolo gruppo di professionisti del C.C.P.P., assieme alle molteplici implicazioni di questo passaggio. Ad essa fa seguito una presa in carico istituzionale che può potenzialmente svilupparsi in diverse direzioni, pur sempre restando all’interno della solida cornice del gruppo di lavoro, che avvolgerà e sosterrà il percorso. La strutturazione di incontri mensili consente ai partecipanti di dar voce e lasciar risuonare il vissuto dei colloqui della consultazione in un contenitore più ampio. Fungendo da cassa di risonanza, il dispositivo gruppale costituisce un raccordo fra il lavoro svolto nella relazione duale e i membri del C.C.P.P. tutto, per poi allargarsi al grande gruppo dell’istituzione: gli incontri offrono un tempo ed uno spazio insaturi per i dubbi del terapeuta, per le parti inespresse e più grezze del paziente, nonché per le sollecitazioni riverberate nei partecipanti. In un approccio Bioniano, supervisioni ed intervisioni si prestano come lente prismatica a dar vita ad una molteplicità di sguardi sul lavoro clinico, in grado di riecheggiare e dialogare nella mente del terapeuta al lavoro nei colloqui, apportando visioni molteplici su diversi livelli di profondità. In sintesi, l’assetto interno gruppale di colui che eroga la consultazione è elemento saliente del percorso, matrice nella quale si sviluppa tutto il lavoro. I colloqui di consultazione sono, allora, uno spazio multidimensionale ben più ricco ed articolato di “due persone che parlano in una stanza” (Nissim Momigliano, 2001, p.114): nell’incontro col paziente il terapeuta porta con sé aspetti della complessità in cui è immerso e di cui si fa portavoce, e ciò influenzerà la relazione e aiuterà a decifrare il quesito iniziale, la cui lettura è solo apparentemente un’operazione semplice.

Fin dall’inizio le resistenze del paziente sembrano mimetizzarsi molto bene fra le reali difficoltà di ordine concreto, come la scarsità delle risorse economiche o la mancanza di disponibilità e di tempo. Si può parlare di “uso efficace della consultazione” se al termine dei colloqui, solitamente tre, si ha una fotografia più chiara di quanto stia accadendo alla persona che si ha davanti e una maggior consapevolezza dei suoi bisogni. L’obbiettivo è quello di trasformare una generica manifestazione di disagio in una richiesta di aiuto, nelle ipotesi di cura potenzialmente più idonee, o semplicemente aiutare il paziente a “vederci un poco più chiaro”.

Il passaggio trasformativo della domanda di cura è essenziale: le persone giungono con un bisogno dettato dall’urgenza e, spesso, anelano ad una risposta immediata e magica. Il terapeuta, al centro delle linee di forza citate, riuscirà a districarsi proprio grazie al gruppo dei colleghi il cui supporto può garantire la tenuta mentale e l’eventuale ricorso ad altre risorse disponibili nel campo. La supervisione del materiale clinico della consultazione funziona, infatti, come un gruppo di lavoro e come tale segue la logica del processo secondario, producendo pensiero; al contempo, è impregnato dei transfert istituzionali che ciascun componente sperimenta su di sé. Ad un livello meno integrato e più primitivo, segue i criteri del processo primario e risponde ad una logica simmetrica: il confronto fra terapeuti lascia intravedere frammenti di relazioni, precipitati emotivi e fenomeni sparsi in luoghi e tempi differenti che comunicano tra loro proprio attraverso la mente del gruppo. Se il processo prende vita, è possibile chiarire la richiesta svincolandola da aspetti di idealizzazione ed onnipotenza e da quegli elementi emotivi che impedirebbero la restituzione su un piano di realtà e di un raggio di azione possibile.

Il terapeuta che si occupa della consultazione istituzionale, trovandosi a cavallo fra mandati più o meno manifesti (personali di cura e mandati più impliciti della Società), matura la capacità di stare plasticamente nell’istituzione, accogliendone aspetti psicotici e nella consapevolezza di osservare il tutto facendo del dispositivo gruppale la sua base sicura.

Il discorso fin qui svolto nel descrivere alcuni aspetti delle interazioni fra la coppia al lavoro e i vari campi in cui questo lavoro si articola vuole ora trarre forza argomentativa dai risvolti che realmente si sono presentati nel C.C.P.P.V., riferendosi all’esperienza, molto significativa, della nascita di un nuovo centro, quello di Cagliari. Anche se al momento una sola persona si fa carico dell’attività clinica di quel territorio, il centro continua a far parte del gruppo Triveneto grazie alla possibilità di partecipare da remoto al lavoro dei colleghi.

Se è vero che l’esperienza, come suggerisce Thanopulos, si collega alla trasformazione, la nascita del C.C.P.P. Sardo si può ben definire come frutto di ciò che è stato vissuto all’interno del C.C.P.P.V.. La forza di questo progetto è attribuibile ad una molteplicità di fattori: il desiderio della terapeuta di proseguire con il lavoro di consultazione svolto sino ad allora in Veneto; la possibilità di confronto e supervisione a distanza, sorta grazie allo svolgimento online iniziato durante la pandemia; la matrice istituzionale. In questa dinamica tornano quei cerchi concentrici germinatori del piccolo centro che sono il terapeuta, il piccolo gruppo, la strutturazione degli incontri, il grande gruppo istituzionale.

A tutto ciò si aggiunge un elemento fortemente significativo rappresentato dalla condizione, da sempre vissuta nel C.C.P.P.V., riguardante la mancanza di una sede fissa sia per lo svolgimento dell’attività clinica che per le riunioni di gruppo. Questo ha fatto sì che, da un lato, le consultazioni si siano svolte nello studio privato del singolo terapeuta e, dall’altro, che le riunioni si siano tenute in luoghi diversi: case e studi via via messi a disposizione da uno dei membri. In questi luoghi le riunioni sono state naturalmente connotate da un senso di familiarità ed intimità, più di quanto sarebbe accaduto in una sede istituzionale. L’oscillazione tra momenti di solitudine ed altri di intensa condivisione, nell’influenzare il vissuto del gruppo, ha generato un sentimento di precarietà rafforzando i legami interni, il senso di coesione e di identità e rendendo più difficoltosi i movimenti di disidentificazione e di separazione, accentuando invece un certo senso di isolamento e di difesa rispetto all’esterno.

L’evenienza di un caso clinico, approdato al C.C.P.P. Cagliaritano, condiviso tra i due territori, ovvero una coppia che si muoveva a cavallo fra il Veneto e la Sardegna, ha rispecchiato, in qualche misura, i molteplici significati legati alla mancanza di un luogo, alla sua ricerca spasmodica insieme alla fuga da esso, in una oscillazione tra idealizzazione e svalutazione carica di sofferenza e fatica, ma che può anche risolversi in una sana disillusione e nell’emergere di nuove identità e nuove possibilità di mettersi in relazione.

Bibliografia

Aufiero A. C. (2023). Il gruppo di discussione dei casi clinici di tirocinio: la supervisione di materiale clinico come analisi dell’istituzione, Formazione, trasformazioni e spazio psichico. Psicoterapia Psicoanalitica, 2023/1, pp. 84-99. DOI: 10.3280/PSP2023-001006

Barone C., Cargnel L., Madella S. (2017). Sicuri di essere solo due persone che parlano in una stanza? Riflessioni sull’esperienza all’interno del CdC della Sezione Triveneto, La tecnica nella psicoterapia psicoanalitica. Psicoterapia Psicoanalitica, 2017/1, pp. 137-150. DOI: 10.3280/PSP2017-001011

Blanco I. M. (1995). L’inconscio come insiemi infiniti. Torino: Einaudi.

Nissim Momigliano L. (2001). L’ascolto rispettoso. Scritti psicoanalitici. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Thanopulos S. (2023). L’empirico e l’esperienza. Intervista di Laura Ravaioli, Rivista di Psicoanalisi Podcast. Milano: Raffaello Cortina Editore. Disponibile al Sito: https://www.spreaker.com/episode/l-empirico-e-l-esperienza-sarantis-thanopulos-intervista-di-laura-ravaioli--58084282

 

DANIELA MATRANGA - Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica, Specializzanda in attesa di diploma, Via Assisi 16, 35141, Padova (PD), Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
ALESSANDRA CEOLA - Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica, Psichiatra Psicoterapeuta Associata S.I.P.P., Via San Pio X 5, 35122, Padova (PD), Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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