Le parole per dirlo: la consultazione psicoanalitica come finestra sul mondo interno in una società in continua trasformazione, Ida La Cesa

Le parole per dirlo: la consultazione psicoanalitica come finestra sul mondo interno in una società in continua trasformazione

IDA LA CESA*

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# Consultazione, Sofferenza, Trasformazione

 

“Le parole per dirlo” è il titolo di un intenso romanzo di Marie Cardinal, pubblicato nel 1975, che descrive un percorso interiore nel quale i lettori sono condotti nei meandri dell’animo umano. Dalla nota di copertina del libro che apre al racconto e che cattura il lettore si legge: “incubi, angosce, paura della morte e della vita. È un male che paralizza, inibisce, confonde, fa perdere coscienza di sé, annulla il senso delle proprie azioni. La famiglia, i ruoli, la condizione di donna, la società, la morale. E a monte un’infanzia tradita, presupposti sbagliati, pregiudizi, ossessioni arcaiche … È la storia tutta al femminile di una psicoanalisi durata sette anni, di un graduale recupero di sé, di una nuova nascita nella consapevolezza”. Un libro che ha segnato un’epoca e ha dato vita alle rivendicazioni dei movimenti femministi.

Se i temi, le origini della sofferenza del nostro tempo sono, in parte, diversi da quelli trattati da Marie Cardinal, se il disagio e il malessere attuali si esprimono in forme diverse, continuano però ancora a mancare “le parole per dirlo”, per descrivere quel malessere diffuso e spesso indistinto che caratterizza il nostro tempo, in particolare dei nostri giovani o “giovani adulti”. Mancano spesso le parole necessarie per accedere ad un mondo interno popolato da fantasmi e paure o, più spesso, svuotato di peso e di senso. O ancora manca la possibilità di “pensare” quel disagio, manca un apparato per “pensare i pensieri” capace di mentalizzare quel dolore, di rappresentare dentro di sé quella sofferenza che deve, quindi, trovare altre vie di espressione diverse dalla parola come avviene, per esempio, nei disturbi del comportamento o attraverso il corpo e le sue modificazioni.

Come rileva Christopher Bollas nel suo libro “L’età dello smarrimento” (2018), negli ultimi due secoli si è creato un cambiamento del “clima intellettuale”: l’importanza attribuita alla connettività istantanea, la rapidità degli scambi, ha soppiantato riflessività ed introspezione, il modo in cui definiamo il nostro Sé si è significativamente trasformato. D’altra parte la psicoanalisi, già a partire da Freud, ha reso palese che la forza dell’Io si costruisce grazie alla qualità degli scambi del neonato con il suo ambiente circostante. La tecnologia e la digitalizzazione hanno cambiato il nostro tempo, il nostro pensiero e le nostre relazioni e questo ha avuto una ricaduta sul processo di crescita e di soggettivazione che porta al raggiungimento della differenziazione, al riconoscimento di Sé e al riconoscimento e valore dell’altro da Sé. Così come scrive René Kaes nel 2012, nel suo saggio “Il Malessere”, il malessere attuale è qualcosa di diverso dal disagio, è piuttosto una messa in discussione della capacità di essere e di esistere in sufficiente accordo con sé stessi, con gli altri e con il mondo”. Come scrivono Miguel Benasayag e Gérard Schmit, siamo in un’epoca delle “passioni tristi”: un’epoca dominata da un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta a rinchiuderci in noi stessi, a vivere il mondo come una minaccia, alla quale bisogna rispondere “armandoci” e “armando” i nostri figli. Il malessere psichico che attraversa tutte le fasce sociali e che è ancora più diffuso nei giovani è segno della crisi della cultura moderna fondata sulla promessa del futuro come redenzione laica; fede ormai tramontata e sostituita dalla percezione di un futuro cupo, dalla brutalità che identifica la libertà con il dominio di sé, del proprio ambiente, degli altri. Tutto deve servire a qualcosa e questo utilitarismo si riverbera sui più giovani e li plasma.

Un rapporto del Censis già nel 2010 segnalava la diffusione in occidente di una nuova malattia dell’anima, espressa in una miriade di spoglie diverse, che Massimo Recalcati riunisce sotto un’unica formula: il tramonto del desiderio. L’occidente capitalista che ha liberato l’uomo dalle catene della miseria, trasformandolo in un “homo felix”, ha prodotto una nuova forma di schiavitù: “l’uomo senza inconscio” e “l‘uomo senza desiderio”, condannato a perseguire un godimento schiacciato sul consumo compulsivo e perennemente insoddisfatto.

Allora, in tale contesto, le risorse della psicoanalisi possono e devono essere usate per comprendere le forme della sofferenza psichica del nostro tempo legate ai cambiamenti che hanno scosso il mondo in cui viviamo e in cui i nostri discendenti vivranno. Così, per ritrovare un più equilibrato senso di sé all’interno della società, è indispensabile fare dell’insight psicologico il fulcro di un nuovo tipo di analisi culturale e sociale. Così, a livello individuale, lo spazio della consultazione psicoanalitica può rappresentare la prima opportunità di accesso e di presa di contatto con il proprio mondo interno, un mondo forse fino ad allora sconosciuto o forse solo intuito, l’apertura di una finestra da cui “gettare uno sguardo” dentro di sé in un mondo che tende a spostare l’attenzione continuamente al di fuori, la possibilità di fermarsi e “sostare” in uno spazio di pensiero e di riflessione in un mondo che spinge, invece, verso un movimento continuo e irrefrenabile. Un’opportunità che può concludersi in un numero definito di colloqui, in un’esperienza comunque utile, o invece proseguire verso un percorso di scoperta, esplorazione e significazione del proprio mondo interno.

Bibliografia

Benasayag M., Schmit G. (2003). L’ epoca delle passioni tristi. Milano: Feltrinelli, 2005.

Bollas C. (2018). L’età dello smarrimento. Senso e malinconia. Milano: Cortina.

Cardinal M. (1975). Le parole per dirlo. Milano: Bompiani, 2017.

Kaës R. (2012). Il Malessere. Roma: Borla, 2013.

Recalcati M. (2022). La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia. Milano: Feltrinelli.

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