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A. Carla Aufiero. Fratelli e sorelle. Psicoanalisi delle relazioni laterali, di Juliet Mitchel

Juliet Mitchell, Fratelli e sorelle. Psicoanalisi delle relazioni laterali, Astrolabio, Roma, 2019, pp. 270, € 22,00

Quando, allieva del primo anno dell’Istituto di Formazione in Psicoterapia Psicoanalitica, cercai il bambino per il corso di Baby Observation, mi si presentò una particolare esperienza: la donna che si era resa disponibile a partecipare all’osservazione aveva un neonato di soli sei giorni e un bimbo più grande, dell’età di due anni. Nell’arco dell’anno di osservazione, quindi, ebbi modo di osservare non solo le prime fasi di crescita dell’infante e la sua relazione con la madre, ma anche la relazione che si stabiliva tra i due fratelli e tra la madre e i due figli insieme. Questi costituirono altrettanti vertici di osservazione che resero l’esperienza molto interessante e viva.
Juliet Mitchell, inglese di origine neozelandese, psicoanalista dagli anni ’70, da circa un decennio partendo dagli “Studi sull’isteria” di Freud ha osservato in particolare casi (più numerosi di quanto si pensi) di isteria maschile, iniziando a focalizzare la propria attenzione sulle relazioni tra fratelli. “Fratelli e sorelle. Psicoanalisi delle relazioni laterali” è solo l’ultimo di diversi lavori editoriali che l’autrice ha pubblicato sull’argomento.
Partendo dalla considerazione che le teorie psicoanalitiche classiche privilegiano l’asse verticale, ossia quello che riguarda la relazione genitore- bambino, Mitchell propone un ulteriore vertice di osservazione, che aggiunga l’asse psichico laterale alla prospettiva psicoanalitica. Si tratta, particolarmente in questo momento storico, di mettere al centro la relazione tra fratelli, fondamentale nella costruzione di ogni relazione compresa quella tra genitori e figli, nonché paradigma della successiva vita sociale.

Dunque cosa accade quando nasce un fratello?
«Secondo la teoria prevalente in psicoanalisi, la presenza di un fratello, sia esso esistente o venturo, è importante perché esso indica che la madre ha una relazione sessuale con il padre (...) In particolare, l’imminente arrivo di un fratello o di una sorella, o la possibilità di tale arrivo, sono portatori, insieme e a un tempo, di sessualità e trauma (...) Se teniamo a mente che la sessualità va intesa non come genitalità ma come un amore libidico “polimorfo”, sfaccettato, in grado di rivolgersi ad un ampio spettro di oggetti (...) abbiamo la rappresentazione di ciò che un bambino piccolo prova (...). Il fratello adorato, amato con tutta l’urgenza del narcisismo infantile, è però anche detestato in quanto rimpiazzo di sé: il piccolo che il soggetto non potrà più essere, o il fratello maggiore che il soggetto non sarà mai. Il fratello è, par exellence, un essere che minaccia l’unicità del soggetto» (23).
Queste considerazioni iniziali aprono ad una visione più ampia dove l’asse psichico verticale e quello orizzontale si compenetrano e si compendiano, così che le relazioni tra fratelli (o tra coetanei) diventano strutture relativamente autonome nella formazione della psiche umana. Mitchell parte per la sua ricerca dalle domande esistenziali più comuni, intorno alle quali si struttura l’andamento del suo libro, per costruire risposte originali basate sulla sua visione della psicoanalisi non più adultocentrica, o centrata sul genere, ma comprendente anche la presenza della fratria come fattore determinante dello sviluppo.

Chi sono? Chi vorrei essere?
Un’importante implicazione metapsicologica riguarda ad esempio la costruzione dell’Ideale dell’Io e la sua articolazione con il SuperIo: l’ideale potrebbe essere modellato non necessariamente su un’immagine interiorizzata del padre, ma su un altro bambino, un fratello ad esempio, nella sua rappresentazione eroica o mortificante. In questo caso «l’instaurazione o la destituzione di un ideale dell’Io non è un’assimilazione edipica del padre, bensì un’interiorizzazione legata ai fratelli o ai coetanei» (27).
Allo stesso modo, il narcisismo primario della psicoanalisi classica dove la condizione di unità con l’ambiente/madre, il lavoro di oscillazione tra identificazioni mimetiche e ritiro e la successiva creazione di una matrice intersoggettiva di scambio dà luogo all’alternanza presenza/assenza, pieno/vuoto, se riletto alla luce della presenza di fratelli o pari nello sviluppo offre nuove possibilità di evoluzione. Laddove le identificazioni parziali con i genitori siano impedite per la presenza di carenze o traumi, l’identificazione primaria può essere rivolta al gruppo di pari attivando un meccanismo di differenziazione invece che di negazione. A tal proposito la Mitchell sottolinea come vi siano pazienti, come i borderline, che oltre a non essere entrati nella fase edipica presentano forti inquietudini lungo l’asse laterale.
E ancora: il capovolgimento nell’opposto, il più primitivo di tutti i meccanismi psichici per Freud, che anche la Klein aveva interpretato lungo l’asse verticale nei termini di un’oscillazione della relazione con il seno della madre, è una caratteristica molto frequente nei rapporti tra pari e tra fratelli.
«... abbracci che all’improvviso si trasformano in botte e viceversa. Spesso è difficile capire se due bambini che si gettano le braccia al collo vogliano abbracciarsi o strangolarsi, questa osservazione si può traslare dai giochi infantili al comportamento dei gruppi: amici che diventano nemici, vicini che diventano estranei e viceversa» (36).
Da questo enunciato si può partire per confrontarci con un’altra impor- tante intuizione della Mitchell, che riguarda la pulsione di morte. L’autrice mette in discussione il concetto di Freud che la morte possa essere rappresentata dal bambino solo come vissuto di castrazione (il fallo mancante). Se il bambino ha fratelli, infatti, la loro stessa esistenza viene vissuta prima di tutto come morte del sé. La prima reazione sarà di uccidere colui che minaccia l’integrità del sé, ma poi la pulsione di vita irrompe a mitigare la pulsione di morte e l’odio si tramuta in amore. Ciò consente un graduale ripristino del proprio sé, in un processo che può ripetersi più volte nell’arco della vita, ogniqualvolta l’individuo sente minacciata l’unicità del proprio sé all’interno di un gruppo di pari.

Edipo aveva una sorella?
Questa singolare domanda difficilmente trova risposta sia nella letteratura classica che in quella psicoanalitica. Eppure, Edipo aveva due sorelle e due fratelli, i suoi quattro figli appunto. Da qui l’autrice parte per riflettere sui processi inconsci dell’infanzia e della prima fanciullezza, quando si interiorizzano i significati e le implicazioni della socialità umana.
Nella teoria psicoanalitica classica si assume che le pulsioni sessuali infantili, nell’ambito dei tabù culturali e dei processi di apprendimento infatile, vengano rimosse e divengano inconsce. Tra fratelli, invece, queste pulsioni sono piuttosto soggette ad un meccanismo di repressione e rimangono come desideri preconsci che possono riaffiorare in misura diversa a seconda della cultura cui il bambino appartiene (vi sono culture che non considerano l’incesto tra fratelli un tabù, anzi lo incoraggiano per il mantenimento della progenie).
Per quanto detto in precedenza, esiste una contiguità tra sesso e violenza, tra desiderio incestuoso e desiderio omicida, che nel rapporto tra fratelli è molto maggiore che sull’asse verticale in quanto queste spinte sono rivolte verso la stessa persona. Dunque la sessualità tra fratelli e l’istinto fratricida sono contigui.
Per quanto riguarda l’incesto tra fratelli, l’autrice sottolinea come in molti casi si sottovaluti il fatto che giochi di natura sessuale tra fratelli sono segnalati abbastanza spesso: essi sarebbero l’espressione benigna di un processo di trasmutazione narcisistica dell’odio, che è superato solo con l’oscillazione tra la sessualità con qualcuno percepito come uguale e la sessualità con qualcuno di cui si vuole eliminare la differenza.
È appunto l’odio l’elemento primario che, secondo l’autrice, ha origine con l’evento stesso della nascita. Esso ha radici nell’infanzia stessa della madre, ossia il bambino odiato sarebbe una reduplicazione del fratello o della sorella che la madre ha odiato quando era bambina.
Dopo di ciò, l’eventuale arrivo di un fratello o di una sorella segnano per il bambino un’ulteriore esperienza traumatica; egli si rende conto di non es- sere unico e che qualcuno occupa il posto che un tempo era il solo ad occupare il che equivale, all’inizio, ad una esperienza di annichilimento. D’altro canto anche il fratellino piccolo conosce l’odio, per il fatto di sperimentarlo su di sé.
Ciò che accade è che il bambino sperimenta l’odio come diretto contro un essere che è identico: sentimento basato sulla identità, non sulla mancanza, e che pertanto a differenza dell’invidia di kleiniana memoria non può essere riparato.

La legge della madre
La Mitchell, che ha una lunga esperienza di militante e studiosa del femminismo, sottolinea come nella psicoanalisi la posizione della madre sia stata limitata al concetto di madre primitiva, preedipica, con caratteristiche di volta in volta diverse a seconda degli autori. Anche antropologicamente il ruolo di una madre legislatrice (matriarcato) è stato sempre considerato antecedente al patriarcato (padre edipico). Anche in Lacan l’ordine simbolico che istituisce il linguaggio è preceduto da un ordine immaginativo più precoce, appartenente alla madre. Dunque, sottolinea l’autrice, «non è stata fatta alcuna distinzione tra una madre primitiva, immaginativamente vendicativa o amorevole e una madre legislatrice. La distinzione è invece sempre stata fatta tra la madre primitiva e il padre legislatore» (68)
Dovremmo invece considerare la possibilità di una imago materna la cui legge contribuisca a determinare la soggettivazione dei suoi figli anche in fasi successive a quella preedipica, muovendosi contemporaneamente sia sull’asse verticale che su quello orizzontale
Verticalmente, la sua legge impone che i bambini non possono procreare, in quanto è solo alla madre che spetta questa funzione. Dalla teoria freudiana sappiamo che per il bambino il fratellino proviene (o proverrà) dalla pancia della madre secondo un modello di oralità o analità, e che ciò costituisce una risposta ai modelli impliciti di bocche o tratti digestivo-anali. In realtà si tratta di una domanda che per il bambino ha a che fare, come già detto, con la minaccia di un annichilimento e pertanto, secondo l’autrice, la risposta porterà ad una genitalizzazione: «Il fallico “Io” della fase immaginativa di Lacan ha un equivalente ventre = me: un bambino può venire fuori da “me”. Se il fallo è l’”Io” eretto, il ventre è l’arrotondato “me”. Le considerazioni sulla teorizzazione freudiana-lacaniana hanno tralasciato questo passaggio» (89).
Da questo desiderio del bambino di avere al suo interno una cavità che gli consenta di procreare (che è poi la fantasia di poter generare, attraverso questa cavità, un altro sé identico, narcisisticamente amato), ha origine la legge della madre: «Sono io, la madre a poter dare la vita, non il bambino» (89).
Vale la pena qui di aggiungere un’importante puntualizzazione che la Mitchell fa a proposito della teoria delle pulsioni. Secondo l’autrice la pulsione sessuale è un impulso che va distinto dalle finalità riproduttive. Nell’evoluzione della teoria delle pulsioni, infatti, si è considerato che la pulsione sessuale fosse assimilabile a quell’insieme di forze che, opportuna- mente sottoposte a rimozioni e tabù, contribuiscono alla sopravvivenza dell’individuo: essa è inscritta cioè nell’ambito della pulsione di vita, al ser- vizio quindi dell’autoconservazione e della riproduzione, e questo perché la teoria psicoanalitica l’ha relegata sull’asse verticale. L’osservazione della funzione laterale della pulsione sessuale consente invece di riportarla nell’ambito in cui fu primitivamente concepita, ossia di una forza potente- mente distruttiva, non procreativa, collegata alla sopravvivenza e quindi alla violenza
Come abbiamo già detto, alla nascita di un fratellino il bambino si trova ad oscillare tra un amore narcisistico con la fantasia onnipotente di aver potuto generare un altro sé, identico all’originale, ed un sentimento di annichilimento che è all’origine di un impulso fratricida.
È qui che interviene la funzione trasversale della legge della madre: i bambini sono uguali nelle loro differenze agli occhi della madre.
«L’odio per il fratello premette di compiere la prima mossa: ti odio, tu non sei me, è la precondizione per la serialità. La madre limita questo odio, gode del fatto che non sia agito. (...) la relazione laterale in se stessa istiga i propri processi di gestione dell’identità attraverso la costruzione delle differenze» (70).
Dunque la legge della madre opera una funzione separante e simbolizzante, non meno importante di quella del padre: affermando che i bambini non possono procreare, essa consente che la cavità interna fantasticata possa essere simbolizzata, come lo spazio che può contenere i pensieri e in cui le rappresentazioni possano essere contenute. Differenziando i suoi bambini, inoltre, la madre consente che il concetto di legge sia internalizzato e apre la strada alla consapevolezza dell’alterità. Ciò costituisce il primo esempio di tutte le successive relazioni seriali o laterali. Inoltre tale differenziazione pone le basi per una successiva costruzione delle differenze di genere.
La Mitchell ipotizza che i casi di incesto nella fratria siano a questo punto da considerare non genericamente come effetto di una negligenza genito- riale, riguardante solo l’asse verticale, ma piuttosto come un’assenza di attivazione della legge materna. Allo stesso modo, ella suggerisce che i casi di bambini antisociali o di adulti psicopatici siano da attribuire ad una mancata internalizzazione del senso di sé e dell’altro.

Chi si è seduto sulla mia sedia?
Con l’avvento di un fratello si sperimenta il trauma della non unicità: qualcuno è al posto del bambino, che sente di non essere più il figlio unico dei propri genitori perché il suo posto è stato preso, usurpato, distrutto. Il bambino non è più ciò che sentiva di essere, rifiuta di riconoscere il nuovo arrivato anzi sente il forte impulso di distruggerlo, annientarlo. È questo desiderio di uccidere il fratello che deve essere rimosso e quindi diventare in- conscio.
La tesi dell’autrice è che oltre a quanto già sancito dalla psicoanalisi circa la presenza di desideri e proibizioni all’interno del paradigma verticale genitore-bambino, la fratria offra una serie di altri desideri diversi da quelli edipici che pure sono soggetti a difese, e pertanto determinino la formazione di strutture mentali inconsce, a maggior ragione in quanto la fratria è rapprsentativa di una presenza sociale.
La psicoanalisi classica considera l’internalizzazione delle relazioni sociali come conseguenza dell’internalizzazione di figure genitoriali che possono essere accudenti o negligenti, protettive o distruttive. Ma il bambino vive nel mondo reale, dove incontra i fratelli o comunque altri coetanei.
«Dai fratelli si apprende, o si fallisce nell’apprendere che non si è lo stesso bambino di quello che c’era prima o di quello che viene subito dopo (...) ciò crea il contesto in cui il bambino fa delle equazioni simboliche (Segal, 1986): due soggetti diversi, bambino e neonato, sono simili in quanto fratelli o bambini. Ma il concetto stesso di fratelli suggerisce anche che la visione è vera al contrario» (170).
Ovverossia che non tutti i fratelli, pur nati dallo stesso seme, sono identici.
Il gioco del bambino nel rapporto con i coetanei o con i fratelli è quello già descritto: il bambino nella sua fantasia può produrre in continuazione il proprio duplicato ma, nel momento in cui esso compare, esso dev’essere di- strutto in quanto rappresentante di una condizione di non-esistenza, di non- me. Anche se i bambini che giocano ad uccidersi un attimo dopo vedono rialzarsi il proprio fratello, essi hanno come già detto una chiara percezione della morte e sanno che non bisogna uccidere davvero. È qui che intervengono «comandi e proibizioni: ama il prossimo/fratello tuo come te stesso e non ucciderlo (Caino e Abele). Il tuo amore, comunque, non deve essere sessuale» (171)
La legge della madre consente così il superamento dello stadio infantile: qualcosa che viene riconosciuto come perso, quindi non più parte di sé, si ripresenta e solo allora, come nell’elaborazione di un lutto, può essere riconosciuta come altro da sé. Questa immagine viene allora interiorizzata ed accolta come oggetto interno che può essere ricordato e utilizzato. Diversa- mente, vi è una ingestione senza significato che inficia la possibilità di sentirsi separati ma in relazione col mondo.

Il testo di Juliet Mitchell propone, attraverso la rilettura critica della teoria psicoanalitica classica e della sua evoluzione negli anni, l’importanza di non trascurare le relazioni laterali nell’analizzare i processi psichici dei nostri pazienti. Fa questo attraverso una serie di interessanti ipotesi e porta riscontri anche attraverso la riproposizione nella propria chiave di pensiero di casi clinici o riferimenti bibliografici. Infine impianta la propria teoria nel mondo contemporaneo, dove i mutamenti di forma della famiglia, la fine del patriarcato e con esso del divieto paterno e del complesso di castrazione impongono alla psicoanalisi continue rimodulazioni che possono avvantaggiarsi enormemente dell’ampliamento da un’ottica puramente binaria e verticale ad un’ottica che comprenda anche l’asse psichico laterale e gli riconosca determinati processi inconsci
Aggiungerei che il tenere presenti questi aspetti può essere particolar- mente utile nel nostro lavoro di analisti, ad esempio consentirebbe di rileggere e rinnovare nell’ottica della legge della madre vecchi concetti un po’ sdruciti quali la regola dell’astinenza, la regolazione del setting, il pagamento delle sedute... E la loro applicazione modulata dalla consapevolezza che non tutti i pazienti sono uguali. Ogni analista potrebbe magari sentire che nella sua funzione normativa, strutturante, separante non svolge solo la funzione di padre castrante ma anche di madre legislatrice che scongiura l’omicidio e l’incesto. Dopo tutto, ogni analista in quanto tale ha sperimentato la condizione di fratello e, successivamente, di genitore di una fratria.

Anna Carla Aufiero

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