L. Scoppola. Psicoanalisi e Neuroscienze: un dialogo possibile, un dialogo necessario

 Relazione presentata al Convegno
"Psicoanalisi, Cinema e Neuroscienze"
Napoli, 8 Ottobre 2016

 


Psicoanalisi e neuroscienze: un dialogo possibile, un dialogo necessario.
Alcune riflessioni sul tema mondo interno e vissuto di malattia

di Luigi Scoppola

 

 

Domande
- Perché parlare di psicoanalisi e neuroscienze? Da dove si parte? La scelta personale e la esperienza ospedaliera al letto del malato: la mancata risposta di fronte al coinvolgimento della sofferenza del malato.
- La malattia ed il suo vissuto nel malato ed in chi si prende cura di lui: le intime correlazioni di quale natura sono?
- È possibile un dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze? Perché? Si può considerare una psicoanalisi applicata, a cosa?
- Al problema mente-corpo? Quale il senso dello star male? Il vissuto?
- Gli orientamenti della psicoanalisi verso la malattia somato-psichica.

Introduzione
Il diffondersi in questi ultimi 50 anni dell’applicazione della tecnica psicoanalitica a numerosi quadri di sofferenza mentale pone all’attenzione di tutti gli operatori la frequenza con la quale il lavoro psicoterapeutico è chiamato a trattare psicopatologie che, nel trascorso della psicoanalisi, non venivano da questa ritenute di propria competenza.
L’elevata frequenza con la quale molti pazienti si rivolgono allo psicoterapeuta per quadri clinici di borderline, psicosomatosi, vissuto di malattie somatiche, dipendenze, perversioni e disturbi dell’identità di genere, ha posto alla ribalta la conseguente esigenza di una progressiva estensione dell’intervento psicoterapeutico-psicoanalitico e dell’adattamento strategico di questo ad alcuni quadri clinici.
Tutto ciò in passato ha dato voce, in un mondo psicoanalitico attento a non derogare dai propri principi, a quel silenzio epistemologico, non del tutto condiviso da tutti gli psicoanalisti, che incombeva sul tema dell' approfondimento della ricerca clinica ed epistemologica dell’attività presimbolica della mente e degli ordinamenti mentali primitivi che ne sono alla base. A quell’epoca una larga parte di tali pazienti restava esclusa dall'essere presa in considerazione per un progetto di intervento psicoterapeutico psicoanalitico. Sappiamo oggi che la incidenza di queste patologie sta divenendo dominante, se non esclusiva, e si propone in una precisa indicazione ad un trattamento di orientamento psicoanalitico.
Oggi, dunque, si ripropone la rivisitazione dell’antico problema mente-corpo, che fin dai secoli - o millenni- passati è stato oggetto di ricerche filosofiche e scientifiche. Da tutto ciò è possibile partire per addentrarsi in queste “nuove -o vecchie- vie” che la psicoanalisi è chiamata a percorrere, confrontandosi , anche da vicino, con i contenuti che le neuroscienze vengono imperiosamente a proporre. La stessa SPI di Roma ha recentemente realizzato un incontro su Psicoanalisi e Neuropsicoanalisi il 6-7/2/16 per dialogare con le neuroscienze nella clinica psicoanalitica.

Il percorso della ricerca
Nel corso dell'esperienza da me condotta nell'ospedale S. Giacomo di Roma, dal 1980 al 1993, è emersa la necessità di definire una linea di ricerca di un percorso teorico-clinico adeguato a individuare e definire nuove prospettive di studio del problema mente-corpo. In tale percorso ho avuto il generoso aiuto di alcuni collaboratori volontari, (tra i quali Pia Abelli, Emilio Masina, Chiara Rogora ed altri), che hanno contribuito alla ricerca di tali “vie nuove” della psicoanalisi applicata. Il frequente confronto con vari apporti clinici ci ha consentito un avvicinamento più fruttuoso verso il centro del problema. Allo stesso tempo, via via che la ricerca proseguiva si è anche andato incontro ad una crescente difficoltà a elaborare, condividere ed a ricercare il senso clinico di ciò che stava accadendo nel corso dell'incontro che stava prendendo avvio e nella conseguente relazione transferale e controtransferale in corso d'opera.
Ritornando con la memoria alle esperienze da me fatte nei primi anni di vita ospedaliera, mi apparve, in realtà, inevitabile e indispensabile condividere con il paziente la crescente difficoltà e la penosa fatica di avvicinamento a quell'evento totale che entrambi, io ed il paziente nel corso delle varie sedute, stavamo ricercando ed al quale, più o meno consapevolmente, stavamo andando incontro. Nel corso del procedere dell’esperienza e del mio coinvolgimento empatico, mi sono trovato ad affrontare anche la mia personale difficoltà ad elaborare un movimento mentale che inizialmente poteva apparire quasi totalmente inesplorabile. Forse vi erano qua e là barlumi di luce che comparivano come isolati e improvvisi raggi di sole nella profondità della notte, che più buia non poteva in quel momento apparirci.

Verso la solitudine
L'incontro con il paziente si poneva a livelli continuamente degradanti sui piani sottostanti ed il raggiungimento dei suoi limiti di regressione mentale suscitava controtransferalmente in me una coinvolgente esperienza di solitudine del pensiero (“loneliness” cui Modell fa riferimento e Paul Auster affronta in “L'invenzione della solitudine”). Mi rendevo conto di essere veramente solo in quella condizione di controtransfert, tra il buio e la luce: la richiesta urgente era lo sforzo di pensare perché solamente in questo atto consisteva il primo principio vitale. Di fatto, in tale sforzo si formulava la precisa e pressante richiesta del mio interlocutore di essere accompagnato verso quella meta, poter pensare ciò che stava accadendo nel buio della mente. Avviare cioè la relazione di base di ogni pensiero, vale a dire favorire l'avvio della relazione di A con B. Poter e quindi poter riconoscere la presenza triadica dell'oggetto: fondamento di ogni attività di pensiero. Ciò ha comportato la personale conferma che il pensiero che può nascere dentro di noi è anche un’esperienza di solitudine, di scoperta e di creatività. Il problema cui si stava andando incontro era proprio quello di poter attivare all'interno di questo buio silenzioso una scintilla di luce che potesse innescare la messa in moto della mente, dividente e pensante, che tenta di uscire dall’esperienza oscura e simmetrica di dolore e di solitudine alla ricerca di una relazione d’oggetto. Dalla simmetria del buio profondo che non consente distinzioni alla luce del processo dividente. Questa m apparve come la strada percorribile per avviare un processo psicoterapeutico.
Tutta la patologia che stavo elaborando era infatti fondata sulla difficoltà di vivere e condividere la propria esperienza di solitudine con quella del paziente ed accoglierla nel proprio mondo interno. Tale esperienza, sia nell'aspetto transferale che contro-transferale, si configurava simmetricamente , in ultima analisi, come il vissuto proprio del paziente che può emergere nel corso degli eventi clinici più significativi, fino a quel limite di intensità quale si incontra nella estrema esperienza senza limite del dolore mentale. Sul riconoscimento implicito di tale quadro si giocava la possibilità di avviare un efficace intervento terapeutico e/o di sostegno. Certamente si tratta di un lavoro impegnativo e coinvolgente che all'inizio è necessario poter portare avanti e tollerare anche, talvolta, con il sostegno di una adeguata supervisione. Qui si gioca la formazione psicoanalitica del proprio mondo interno e si mette alla prova quando si affrontano i livelli più profondi della persona. Non tutti gli operatori sono chiamati, fortunatamente, ad affrontare tali estremi contenuti. Anche loro (gli operatori) sono partecipanti attivi, fondamentali e indispensabili del gruppo terapeutico. Essi operano sui legami relazionali in atto tra i vari pazienti. Un gruppo operativo ha necessità della presenza all'interno di figure diverse tra loro, strategicamente collocate sui diversi livelli dell'interazione.

Orientamento diagnostico
Ho ritenuto e ritengo tuttora necessario porre subito una chiara distinzione tra sofferenza mentale primitiva e disarticolazione psicotica. Troppe volte si avverte la confusione sintomatologica che nel passato ha dato luogo ad orientamenti psicoterapici impropri, se non dannosi. L’esperienza clinica propone infatti la necessità che il livello psicoanalitico di intervento terapeutico sia corrispondente e compatibile con il grado di mentalizzazione di cui dispone il paziente in quel momento. Ciò non esclude che un quadro di sofferenza primitiva possa successivamente evolvere, quando non considerato tale, verso quadri psicopatologici altri e di significativa gravità, quali spunti confusivi e/o paranoidei. Allo stesso tempo è necessario proporre una distinzione tra vissuto attuale di malattia somatica e sofferenza primitiva.
Nel corso della narrazione espositiva delle esperienze cliniche condotte mi rendevo sempre più conto che il riemergere, in varie circostanze cliniche, di remote sofferenze arcaiche riproponeva un percorso all'inverso di quello del processo di mentalizzazione, cioè si rendeva possibile raggiungere via via quei livelli di funzionamento dell'apparato psichico che erano riferibili a modalità che sono proprie delle epoche più precoci della vita psichica. Tutto ciò ha comportato l'inevitabile confronto tra quelle che sono caratteristiche dell'apparato psichico adulto e quelle che sono proprie delle fasi precoci dello sviluppo mentale, cioè dominate da un lavoro della mente nel quale prevalgono sempre di più relazioni di pensiero di tipo inconscio non rimosso (simmetrico IMB). Pertanto la atemporalità, la aspazialità, la gruppalità e la indistinguibilità individuo/gruppo ripropongono la vivace presenza di relazioni di pensiero di tipo simmetrico, che sono proprie di epoche pregresse e molto primitive dello sviluppo psichico.
Dunque la strada da seguire si apriva sulle indicazioni che venivano dalla stessa esperienza clinica. Tutte le variabili che ho sopra indicato provengono dalle esperienze condotte all'epoca della progressiva costruzione della identità del Centro di Ricerca dell'Ospedale S. Giacomo.
Gli stati più avanzati di regressione verso modelli primari di funzionamento dell'apparato psichico, per le caratteristiche proprie del processo primario dell'inconscio simmetrico, hanno posto in evidenza la relazione di simmetria costitutiva della relazione esistente tra inconscio non rimosso della mente e modalità simmetriche di funzionamento del somatico, al punto di poter concludere che a quei livelli così arcaici di funzionamento del Sé, l'identicità e la indistinguibilità tra somatico e psichico fossero indiscutibili. Tra l'altro questa condizione è già presente nelle prime fasi della vita psichica del neonato, nelle quali è dominante la indistinguibilità tra soggetto e oggetto. È da notare che nell'esperienza di malattia somatica in fase avanzata il paziente tende a riproporsi simmetricamente le esperienze di estreme precarietà che sono state presenti , inconsapevolmente, nelle epoche più precoci della vita, ma che hanno lasciato tracce mnestiche (memorie implicite) nella vita psichica del p. È possibile, dunque, sostenere che la cosiddetta malattia somatica debba essere interpretata e quindi trattata seguendo un’ottica più ampia che tenga in considerazione la co-presenza di varie modalità di livelli di funzionamento dell'apparato psichico ai quali si va incontro nel corso del lavoro psicoterapeutico.
Ho ritenuto pertanto che ci eravamo avviati verso un ampliamento dell'orizzonte che lo rendeva idoneo per comprendere sia aspetti della vita psichica finora non individuati, sia configurazioni del disagio generalizzato a tutta la persona. La convergenza di tali configurazioni senza nome molto spesso è presente nel corso dell’esperienza del dolore fisico e mentale, che finisce per confluire in una sintesi espressiva: “sto male!”. Si tratta probabilmente di una istanza proiettiva con la quale tentare di ridurre il livello del disagio mentale e somatico immettendo e consegnando ad altri quei contenuti psichici grezzi e non elaborabili a causa della totalità dell'evento che tutto comprende e contiene in se stesso.

L'intervento terapeutico
Allo stesso tempo in tali condizioni la regressione verso i livelli primitivi di funzionamento della mente ha spostato l'attenzione sulla relazione esistente su due livelli, apparentemente distinti e distanti che tendono ad unificarsi. Il non limite di pensabilità delle esperienza di regressione mentale negli stati primitivi si viene strettamente a confrontare e perdersi nella complessità strutturale e funzionale dei sistemi biologici al punto di proporci una possibilità unificante dei due sistemi in una dimensione di infinitizzazione che tutto unifica e livella. Il grido “sto male!” mi appare come l'annuncio di questa realtà esistenziale.
Mi rendevo anche conto che su tali convergenze si giocava tutto il problema dell'intervento terapeutico. Pertanto è apparso essenziale ai fini della ricerca studiare e analizzare il problema dell'ascolto di diversi sistemi espressivi che dal linguaggio astratto e simbolico potevano estendersi a quello descrittivo concreto, verso la difficoltà di recepire termini verbali adeguati o non poter nemmeno rivolgersi a tali modelli, ma relegare le proprie sofferenze ad espressioni di lamento, di pianto o di gestualità. Lo stato di salute era generalmente compromesso o molto spesso diveniva il biglietto di accesso al nostro Centro ospedaliero che aveva la finalità di aprire un varco nel pubblico e che fosse fruibile da tutti ed in particolare da coloro che non hanno ricevuto ascolto. Ancora una volta una proposta di decodifica e risposta alla richiesta aperta.
Su tali quadri di disagio, purtroppo, venivano frequentemente fornite risposte totalmente inadeguate e confondenti che da un lato consistevano in un rinvio al medico proponente per approfondimenti diagnostici, molto spesso non in linea con la domanda originaria, e dall'altro con un rinvio allo psicologo con orientamento diagnostico verso quadri isteria di conversione.

Codice di lettura
Il problema che ci siamo posti è stato quello della ricerca di un codice di lettura adeguato a tradurre in parole esperienze di dolore e di sofferenza più o meno generalizzate a tutte le parti del corpo-mente quali si venivano dichiarando. Il centro della diagnosi differenziale tra isteria di conversione e psicosomatosi (sofferenza mentale primitiva) verteva fondamentalmente sulla presenza o meno di una attività simbolica o, al contrario, di una prevalenza sintomatologica di attivazione di modalità di funzionamento presimbolico, preoggettuale e prelibidico (E. Gaddini). Nel corso dell’esperienza ospedaliera aperta all'esterno, abbiamo avuto la possibilità di raccogliere una casistica di oltre 1.500 consultazioni di intervista-osservazione secondo metodologie che siamo venuti perfezionando in corso d'opera (cfr.: “La parola non trovata” e “L'esperienza di essere Sé”).

Le neuroscienze
Certamente le neuroscienze potevano fornire un grande contributo via via che venivano individuate localizzazioni cerebrali che si attivano in occasione di manifestazione della sofferenza. I contributi provenienti dalla biologia molecolare e le continue scoperte di ulteriori conoscenze sulle funzioni del neurone, che sono oggetto di di attenta ricerca da parte di prestigiosi neuroscienziati. Cito tra gli altri gli studi condotti nel Istituto EBRI di Rita Levi Montalcini, premio Nobel, diretto e presieduto da Pietro Calissano e così pure un folto gruppo di scienziati, da Edelman a Le Doux, dai quali ho potuto sincerarmi della esistenza di fondamentali quesiti che non possono essere posti quando si affrontano queste frontiere della psicoanalisi. hanno suscitato la consapevolezza di affacciarmi su orizzonti veramente inesplorati che pongono fondamentali quesiti sulla natura della attività psichica e molte riflessioni epistemologiche sul tema mente-corpo.
Mi è parso allora che il mondo biologico, e neurale in particolare, potesse fondarsi su modelli di funzionamento che sono in parte confrontabili con quelli che sovraintendono al funzionamento dell'apparato psichico. Freud nel Progetto per una psicologia scientifica aveva ipotizzato la attiva presenza di modelli paralleli di funzionamento. Cioè la presenza nel cosiddetto mondo biologico di procedure di funzionamento analoghe e parallele a quelle del funzionamento mentale.
Oggi alla luce della presente epistemologia dell' Inconscio come insiemi infiniti (Matte Blanco) è possibile rivedere la epistemologia dei modelli paralleli applicando i principi fondamentali dell'Inconscio non rimosso (simmetrico) quali sono il principio di simmetria e di quello di generalizzazione in tutti i processi che sono propri dell'attività psichica ed in particolare sono presenti e dominanti nelle fasi più precoci della vita, anche intrauterina, perché cariche di relazioni di pensiero di tipo inconscio non rimosso e quindi dominato dal principio di simmetria.
Negli stati più avanzati di regressione verso le modalità primarie di funzionamento dell'apparato psichico, per le caratteristiche proprie del processo primario dell'inconscio simmetrico, diviene proponibile la presenza attiva di una relazione di simmetria che si instaura a livelli molto profondi per la quale l' inconscio non rimosso della mente si articola e si scambia con le modalità simmetriche di funzionamento del somatico, al punto di potersi proporre, a quei livelli così arcaici di funzionamento del Sé, in una condizione di identicità e di indistinguibilità che è la condizione della unità somato-psichica in una totale cancellazione di ogni diversità. Tale condizione unitaria è presente con evidenza nelle primissime fasi di vita del nascituro il cui apparato psichico in progress porta con sé profonde tracce di tali modalità che sono rimaste confinate nell'inconscio non rimosso (simmetrico).
Allo stesso tempo possiamo osservare la natura e le caratteristiche della condizione unitaria mente-corpo– come ho già proposto – e dimostrate, tra l'altro, anche dalle prime esperienze vitali del neonato. Allo stesso tempo è possibile sostenere che la cosiddetta malattia somatica debba essere interpretata e quindi trattata seguendo un’ottica più ampia ed efficace. Infatti nel corso della evoluzione di un quadro morboso può verificarsi una situazione di aggravamento che può richiedere una intensificazione di provvedimenti terapeutici. Tali condizioni sono sempre caratterizzate dalla necessità di intervenire con modalità che via via ripropongono una progressiva regressione verso modalità esaustiva dei bisogni di base della vita: provvedimenti onfalici nutritivi, canalizzazioni per il respiro, idratazione ed eiezioni metaboliche ed evoluzione del linguaggio verso modalità sempre più arcaiche. Il neonato non pensa la propria esperienza, la vive come questa si pone ed è nella sua realtà percettiva (Edelman). A tali condizioni perviene anche il malato grave sia nel soma che nella mente.
Sulla base di tutto ciò non è mia intenzione proporre asserzioni temerarie e superficiali, a dispetto di approfonditi studi neuroscientifici e filosofici. Certamente nel corso dell'evolvere di un processo di malattia somatica è innegabile l'andamento dello stesso nel progresso verso la guarigione o in direzione opposta in rapporto al contenuto endopsichico che si accompagna. Il senso del vivere e il declino verso il finire sono certamente annunci che vengono da lontano e non solamente da indicatori biologici.

 

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