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All'Origine. Forum sulle origini della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica

Forum sulle origini della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica

Maria Concetta Sapienza Auteri, Marysa Gino, Rosa Romano Toscani, Luigi Scoppola

Psicoterapia Psicoanalitica, n. 2, 2018

 

Maria Concetta Sapienza Auteri
Anche prima della costituzione ufficiale della SIPP il lavoro degli psicoterapeuti di formazione psicoanalitica era svolto senza oscillazioni d’identità sul solco degli insegnamenti ricevuti in cui hanno fermamente creduto: analisi personale a quattro sedute e tre o quattro supervisioni di pazienti trattati con un minimo di tre sedute settimanali. Ciò ha consentito la formazione di un setting interno che costantemente ci ha accompagnato nella vita professionale. In seguito le tra-sformazioni sociali ci hanno condotto a trattare il paziente con un setting differenziato sia nel privato che nel pubblico a cui ci si è adattati senza percepire, a mio modo di vedere, una rilevante discontinuità nel lavoro rispetto al modello iniziale di riferimento. Tuttavia un cambiamento inerente la relazione analitica è avvenuto ed è stato spesso oggetto di riflessione e di discussione tra i membri della SIPP.
Tra i due referenti della coppia, analista e paziente, cosa è mutato? E lo psicoterapeuta psicoanalitico di quale cambiamento è consapevole? Che cosa è stato sacrificato? In che modo la nuova modalità di relazione ha contributo alla cura?
Da qui alcune mie brevi riflessioni. Dal punto di vista della teoria e del metodo poco è cambiato. La psicoterapia psicoanalitica della nostra Società si è mantenuta sulle linee del pensiero freudiano e post-freudiano e ha certamente contribuito con le sue ricerche al raggiungimento di nuove frontiere. Ritengo invece che dal punto di vista della tecnica ci sia stato un vero e proprio cambiamento. Per esempio la regola dell’astinenza, che nel modello originario della psicoanalisi era fondamentalmente rigida (silenzi prolungati dell’analista, nessun ap- poggio ai bisogni narcisistici del paziente, permanenza del paziente in uno stato di frustrazione, di regressione, ecc.) si è modificata. L’esperienza emotiva dell’astinenza, in particolare dell’astinenza comunicativa tra analista e paziente è, a mio avviso, maggiormente condivisa da entrambi. Infatti il terapeuta si astiene spesso dall’interpretare alcuni contenuti, come ad esempio il transfert aggressivo/libidico del paziente nei suoi confronti, anche se tali contenuti devono permanere nella sua mente, cioè deve mantenersi attivo nella mente dell’analista quel “consorzio pulsionale” individuato da Bion in L, H e K che si produce nel campo analitico. Anche il paziente nei pochi incontri settimanali vive un’astinenza perché è costretto a trasmettere al terapeuta solo una parte di emozioni, sogni, associazioni, desideri, rabbia.
In conseguenza di questa astinenza comunicativa reciproca si verifica, a mio avviso, un particolare stato di “condensazione del non-detto” che lievita nella mente di entrambi. Sappiamo che la parola sia dell’analista sia del paziente ha un “dentro” e un “fuori” e, a mio parere, la “condensazione del non-detto” è riferibile alla parte interna e profonda della parola che rimane dunque come un’area condivisa non verbalizzabile che tuttavia crea la costanza dell’oggetto, fortifica la re- lazione terapeutica e ne garantisce il senso della continuità. Al contempo la parte esterna della parola, che certamente non è di superfice in una relazione terapeutica psicoanalitica, genera una maggiore co- municazione empatica e sensoriale (playing), un’area di gioco transizionale in cui la sofferenza del conflitto transferale e controtransferale può essere comunicata con la leggerezza nel senso descrittoci da Italo Calvino.
Un’altra riflessione riguarda il mio pensiero sulla “diramazione del transfert”, processo che reputo più preminente nel nostro nuovo modello SIPP. Avendo già premesso come la nuova modalità di relazione promuova una comunicazione più fluida e leggera secondo il modello di area transizionale di Winnicott, comunicazione che cammina in parallelo rispetto alla funzione comunicativa assolutamente inconscia di contenuto-contenitore di Bion, riterrei anche che la nostra tecnica psi- coterapica generi una maggiore velocizzazione della trasformazione evolutiva della realtà interna-esterna del paziente. Pertanto si produrrebbe più facilmente nel paziente una “diramazione del transfert” dall’analista verso l’ambiente-realtà con un più rapido superamento dei conflitti e un’espansione della sua pulsionalità verso diversi e nuovi oggetti creativi, affettivi e produttivi (nuovi legami affettivi, interessi culturali, progettualità, efficienza nello studio e nel lavoro). Devo dire che questa velocizzazione della “diramazione del transfert” a volte può determinare una conclusione anzitempo della terapia, e ciò non è certo esente da ulteriori sofferenze separative e frustrazioni (trasferimenti per lavoro, per gli studi, ecc.). Del resto lo psicoterapeuta psicoanalitico non imponendo un setting rigido si allea spesso e più esplicitamente alla realizzazione delle progettualità dell’altro. Ritengo però che tale tipo di conclusione della terapia non annulla quell’area profonda della relazione terapeutica formatasi in prevalenza dalla “condensazione del non-detto”, anzi essa genera nel paziente ulteriori processi di pensiero in cui l’analista viene conservato, consapevolmente o no, come oggetto e interlocutore interno.

Marysa Gino
La fondazione della SIPP è maturata nel momento storico degli anni ’70 -’80, che facevano seguito alla rivoluzione culturale del 1968. Circolava un entusiasmo vitale che nasceva dal vissuto di rottura degli schemi e delle ortodossie alla ricerca di evoluzioni creative e nuovi progetti.
In questa atmosfera la psicoanalisi viveva la ricerca di nuove possibilità di conoscenza scientifica e possibilità applicative. Un gruppo di persone, profondamene motivate, consapevoli di avere già una suf- ficiente e seria preparazione personale e scientifica ma all’inizio della propria esperienza clinica, si coagulò attorno alla figura di un grande psicoanalista, Piero Bellanova, che lo accolse nel suo salotto in riu- nioni settimanali e dispensò con cuore grande e affettuoso, la sua lun- gimirante esperienza professionale. Successivamente anche altri psicoanalisti attenti e curiosi, si sono interessati al copioso materiale clinico che veniva da noi portato alla loro attenzione per discussioni e osservazioni.
Le esperienze degli appartenenti a questo gruppo erano le più disparate: negli ambulatori psichiatrici, nelle Unità Sanitarie Locali, nelle numerose cliniche e negli studi privati. Perciò i setting erano i più diversi e la durata dei trattamenti altrettanto. Soprattutto il setting ad una seduta settimanale vis-à-vis era quello più praticato perché si avvicinava maggiormente alle richieste sociali. È stato quindi oggetto di ricerca da parte degli appartenenti al gruppo iniziale negli anni '70 e successivamente della SIPP. È subito apparso come un contenitore ricchissimo, ampio e profondo, di tutta la dinamica interattiva che si snoda tra paziente ed analista, comprendente anche la realtà esterna. Questa è stata sin dall’inizio la differenza sostanziale, tra il trattamento psicoanalitico ortodosso a tre o quattro sedute settimanali sul lettino che si concentra sulla realtà interna, e il trattamento psicoanalitico ad una seduta settimanale, che tiene presente anche la realtà esterna e tutto quanto questa propone quotidianamente al paziente. La realtà esterna è sempre presente e attiva nel percorso terapeutico e può essere letta come un insieme di opportunità offerte o negate, cercate o evitate dal paziente o dalla coppia terapeutica, per la realizzazione di una evoluzione nella organizzazione psichica del paziente, e con questa dizione comprendo anche i livelli più arcaici e profondi, che sono quelli che determinano le spinte più incisive. Ho sempre riscontrato che av- venivano cambiamenti dinamici basilari, più o meno significativi, a seconda della patologia del paziente, quando una psicoterapia psicoa- nalitica procedeva con un dialogo condotto a livelli di comprensione dinamica profonda. Questi approfondimenti e ricerche, portavano la SIPP a differenziarsi, senza per questo essere di diversa matrice, dalla tradizionale pratica psicoanalitica. Personalmente ho sviluppato negli anni, alcuni concetti che mi sono apparsi fondanti per la psicoterapia psicoanalitica.
Il primo cui mi sono dedicata è stato la costruzione della ‘trattabilità”, negli anni '90. Lavorando in campo sia istituzionale che psichiatrico e nello studio privato, ho avuto modo di riscontrare quanto fosse difficile avviare una terapia con persone che, più o meno inserite nella vita di tutti i giorni, chiedevano soltanto di essere aiutate, ma contemporaneamente mettevano condizioni e limiti fin dall’inizio, portavano una diffidenza di base, mettevano barriere alla nostra interazione. Questo mi ha indotto ad una particolare attenzione, fin dal primo incontro, alla risposta del mio Inconscio, al mio controtransfert ed alle fantasie o immagini che insorgevano. Così mi sono resa conto che a volte pro- vavo un “controtransfert paradossale”, come l’ho chiamato, quando provavo sentimenti e stati d’animo o mi si presentavano immagini del tutto incongrui rispetto a quanto il paziente stava proponendo. In questi casi era necessario contenere nell’apparato psichico tutto il paziente, sia l’emergente che il sommerso, ed essere “empatici” psicoanaliticamente secondo il concetto di Bolognini.
Era necessario avviare una costruzione della “trattabilità”, che veniva ad intrecciarsi con la costruzione del setting condiviso e dell’alleanza terapeutica. In altri termini, avviare un dialogo con il paziente che lo portasse gradualmente a condividere, a sentirsi accolto nella sua interezza, a sentirsi compreso nelle effettive richieste di migliore equilibrio interiore e maggiore soddisfazione. Perché nella domanda di aiuto del paziente emerge la richiesta dell’Inconscio del paziente, quello che ho chiamato “progetto inconscio” al quale il terapeuta non si può opporre più di tanto.
L’Inconscio emerge e chiede soddisfazione, ma porta anche la necessità di limiti costituiti dalle difese. È necessario ascoltare, con neutralità e libertà interiore da canoni ortodossi, comprendere con il nostro sguardo curioso e aperto anche la vita reale del paziente. La psicoterapia psicoanalitica propone al paziente uno spazio interiore dialettico, una posizione maieutica, che favorisce la disposizione a cercare nuovi campi e strumenti di soddisfazione. Perciò è l’aspetto winnicottiano, l’assetto interno del terapeuta che favorisce la fruizione degli oggetti reali, come “trovati-creati”, come elementi che possono agevolare un diverso equilibrio dell’organizzazione interiore. Ogni paziente è portatore di un suo “progetto inconscio”, come l’ho chiamato, che propone al terapeuta le sue spinte, i suoi impulsi, ma anche i limiti della personalità già costruita. Abbiamo la possibilità di ascoltare queste proposte e mettere la nostra organizzazione psichica al servizio di una dialettica con il paziente, che lo aiuti a compiere quelle graduali trasformazioni, piccoli passi con inevitabili avanti-indietro nel percorso, finchè non ha raggiunto quello che il suo mondo interno, il suo inconscio si era proposto. Questo pone il tema di quanto la “sublimazione” e le sue possibilità evolutive siano basilari per un miglioramento degli equilibri interiori dell’apparato psichico. Nel più recente periodo della mia vita professionale ho avuto questa linea di ricerca, che si intrecciava con la ricerca sull’evoluzione dell’uso del simbolo e l’evoluzione del simbolo stesso. Ossia quanto la sublimazione e la sua evoluzione, possa essere l’obbiettivo del trattamento psicoterapico. Ho sempre partecipato o condotto gruppi di studio all’interno della SIPP, con colleghi ed allievi dell’ultimo biennio. Mi sono resa conto che per portare avanti una linea di ricerca, era necessario avere una carica interiore vitale ed un entusiasmo che richiedeva grande dispendio energetico. Perché si incontravano sempre le energie oppositive, legate ad obbiezioni di ortodossia formale, che nascondevano cariche psichiche di invidia di base, di distruttività, di dissociazione. Non si può essere ambigui o criptici in ambito psicoanalitico. Personalmente credo di essere stata sempre coerente con me stessa, con il mio carattere, la mia persona. Questo penso sia necessario trasmettere nella vita societaria, nella didattica, nella supervisione. Le spinte antigenerative sono state presenti sin dall’inizio nel gruppo di colleghi e nella SIPP. Secondo il mio parere sono state contenute nel fantasma costituito non dalla scienza psicoanalitica, ma dalla formale istituzione psicoanalitica. Mentre la SIPP si proclamava ed era diversa nelle linee di ricerca e nei propri campi di esercizio professionale, esisteva in alcuni suoi componenti un clandestino malessere per non essere formalmente riconosciuti e inclusi nella istituzione psicoanalitica. In queste personalità, l'appartenenza alla SIPP non era stata una scelta di campo avvenuta in modo consapevole, ma una specie di ripiego dovuto a circostanze di vita, fortuite o sfortunate, ma comunque subite, rispetto alla propria richiesta personale di appartenenza all’istituzione psicoanalitica. Di converso io credo che nell’istituzione psicoanalitica, dopo l’iniziale affettuosa collaborazione che è stata generativa di formazione professionale e capacità scientifica, di evoluzione maturativa, si sia venuto a creare un divario ed una diffidenza collegate più all’aspetto pratico dell’occupazione del mercato, del nu- mero e della qualità del popolo dei potenziali pazienti, che al rispetto delle reciproche differenze che non sono qualitative, ma di scelta operativa. Mentre è basilare il legame con il corpo culturale e scientifico, è letale il bisogno di appartenenza istituzionale che può essere confuso e diventare interiormente soltanto una necessità di ortodossia e di uso di aspetti formalmente imitativi e sterili.
Secondo la mia esperienza, l’Inconscio è l’aspetto creativo ed il motore vitale umano che cerca sempre una sua soddisfazione attraverso nuovi equilibri tra spinte, resistenze e difese, aspetti ed eventi della vita reale. Nei momenti umani di crisi, quando il paziente fa la sua richiesta di aiuto, l’Inconscio si manifesta nei suoi derivati in modo più esplicito. L’Inconscio e tutto l’apparato psichico del terapeuta attivano tutti i loro strumenti perché si formi gradualmente una coppia dialogante che possa essere terapeutica. Per dialogante intendo che il terapeuta debba essere un effettivo partner nel dialogo, che introduca nuovi tasselli di possibilità rappresentative assenti o carenti. Spesso ci troviamo di fronte a pazienti che ci portano drammi interiori dei quali non hanno la possibilità di rappresentazione. Le immagini di queste storie interiori si formano nella mente del terapeuta o gradualmente o a volte improvvisamente, come intuizioni essenziali. Non sono verba- lizzabili perché incomprensibili per il paziente, ma possono essere una guida interiore per il terapeuta nell’indurre le sue risposte, ossia far funzionare la sua mente per condurre il dialogo e determinare i cambiamenti.
Tutto ciò avviene indipendentemente dal numero delle sedute praticate e dalla posizione del paziente, ma la risposta del terapeuta psicoanalitico è più dialogante, più immediatamente fruibile da parte del paziente, se si inserisce in un discorso che include anche la realtà di tutti i giorni, quella nella quale è immerso e della quale ci sta parlando il paziente. Anche nel condurre la supervisioni è necessaria la schiettezza interiore, perché si manifesta la personalità sia dell’allievo che del supervisore. Sono stata sempre rispettosa delle qualità individuali, ma non ho mai risparmiato la diretta comunicazione di ciò che mi appariva necessario per un buon andamento del percorso tera- peutico. Il supervisore accoglie il dialogo tra i componenti la coppia terapeutica, sia la situazione interiore nella quale si trova imbrigliato l’allievo, sia la situazione interiore del paziente portato in supervisione. Abbiamo quindi un numero maggiore di variabili ed un obbiettivo diverso rispetto ad un rapporto tra due persone. Nessuno riesce ad essere del tutto consapevole di ciò che comunica e trasmette nella propria vita, ma ciascuno di noi componenti della SIPP dovrebbe essere cosciente che trasmette comunque il proprio essere personale, la pro- pria realtà interiore e soprattutto la propria schiettezza. Non possiamo essere ambigui nella nostra scelta di campo operativo, perché non giova né alla nostra Società, né alla scienza psicoanalitica, né soprattutto ai nostri pazienti. Ma neanche il mondo dell’ortodossia psicoanalitica lo può essere.

Rosa Romano Toscani
Devo andare indietro nel tempo, a origini remote, alle radici della nostra figliazione, agli anni che hanno preceduto la costituzione della SIPP, avvenuta nel 1980. In quel tempo i soci fondatori avevano avuto l’opportunità di vivere fermenti innovativi e creativi sia nel campo della Psicoanalisi sia in quello Sociale. Molti didatti della SPI (ricordo con affetto soprattutto Piero Bellanova), restando ancorati alla Psicoanalisi classica, iniziavano ad interrogarsi sulla tecnica più adatta per terapie alle quali la tecnica classica non sembrava portare giovamento. La costituzione, inoltre, delle ASL (allora USL) apriva il campo a nuove sfide e spingeva i terapeuti verso la ricerca di soluzioni cliniche più consone a patologie molto gravi. I pazienti che chiedevano aiuto non potevano essere trattati con le stesse modalità degli studi privati, ma con interventi multidisciplinari in équipe. Questo stato di cose spinse un gruppo di terapeuti che erano stati analizzati da psicoanalisti SPI — sia chi lavorava privatamente, sia chi era impegnato in ambito istituzionale — ad approfondire la propria formazione. Ciò che univa coloro che potremmo chiamare i pionieri della Psicoterapia Psicoanalitica erano il rigore scientifico, il dibattito appassionato che non voleva lasciare zone d’ombra, lo studio approfondito su Freud e sugli autori post-freudiani, la ricerca di una seria identità a partire dalle radici psicoanalitiche. Possiamo dire che la nascita della nostra Società è stata preceduta da una lunga gestazione e da una maturazione lenta e progressiva per raggiungere una sintonia di intenti. Non è stato facile mettere insieme persone che mostravano spinte innovative rispetto ad altre più conservatrici. Un travaglio lungo e a volte doloroso accom- pagnava riunioni interminabili, accanto alle quali si articolavano quelle scientifiche svolte da didatti della SPI, la partecipazione ai seminari presso Neuropsichiatria Infantile tenuti da Giovanni Bollea, da Adriano Giannotti e da Andreas Giannakoulas e la frequentazione dello Spazio Psicoanalitico con Nicola Perotti. Non è difficile affermare che ognuno, mi riferisco sempre al nucleo originario, ha dovuto costruire il proprio training, a partire dall’analisi individuale, fino a renderlo collettivo e strutturato. La SPI aveva formalizzato per l’ammissione alla società il limite di età di quaranta anni per cui per molti la possibilità di accedere era preclusa. Inoltre non esistevano le scuole di specializzazione. Se da una parte questa situazione rendeva più fa- ticosa la ricerca di una rigorosa formazione psicoanalitica, dall’altra parte questo sforzo si traduceva in un maggiore impegno per non cadere in facili eclettismi. Il bisogno di mantenere viva la rotta nel solco della teoria psicoanalitica ha certamente contribuito a sviluppare una solida ricchezza teorico-clinica, avvalorata dal fatto che tutti i soci fondatori avevano già terminato da tempo l’analisi personale. Spero di rendere bene l’idea del lavoro che è stato fatto, un lavoro serio, creativo e innovativo, il cui spirito credo sia stato tramandato fino ad oggi. In questo luogo delle origini, per ricordare Winnicott, rintraccio la natura della generatività. Riprendendo Erickson, essa si traduceva nella capacità di superare il proprio narcisismo per sviluppare un pensiero generativo e l’etica della cura. La generatività risiede nella passione che i genitori esprimono nel mettere al mondo un figlio, nel desiderio che possa esserci un futuro, per lasciare un segno e dare un significato più ampio alla propria esistenza.
Chi ha vissuto in prima persona gli albori di una nascita sente di avere avuto una grande opportunità nella vita per essere riusciti a realizzare un progetto individuale e collettivo e per provare, ancora oggi, lo stesso entusiasmo di un tempo. La passione per lo studio e la ricerca scientifica, la possibilità, ritornando al passato, di provare gratitudine verso chi ci ha generato, fanno parte degli aspetti importanti che una feconda generatività può trasmettere. Questi miei ricordi hanno lo scopo di mettere in luce quanto sia im- portante, nella professione di uno psicoterapeuta psicoanalitico, il confronto con i colleghi e lo scambio continuo, per arrivare a costruire insieme il proprio percorso terapeutico e sviluppare un pensiero personale, libero e creativo.
Non è stata semplice la formulazione di un nuovo modello psicoanalitico. Le solide basi ricevute permettevano al gruppo originario di staccarsi dai padri, passando dall’autoformazione alla formazione, conducendo seminari e assumendo le funzioni di training. La selezione di nuovi colleghi era molto rigida, si richiedevano caratteristiche di consonanze psicoanalitiche, soprattutto per quanto riguardava l’analisi personale, il ritmo delle sedute, l’analista scelto, la durata del tratta- mento. Queste caratteristiche risultavano essere imprescindibili per qualsiasi cooptazione. Nello stesso tempo non veniva perso di vista il cammino verso una propria originalità e autonomia. La SIPP è stata tra le prime società ad essere riconosciuta dal MIUR e a costruire i parametri teorici della Psicoterapia Psicoanalitica, la prima a rendere manifesta una pratica clinica utilizzata da molti analisti e ad avere aperto un serio approfondimento teorico. In Ritmo e setting veniva sottolineato dagli autori, nella prefazione, che si trattava “di costruire un coro con solisti che non avevano mai cantato insieme”, ma che si erano impegnati da anni nella ricerca di una rivisitazione della tecnica psicoanalitica per affrontare e dare linfa alla costruzione di una teoria psicoanalitica contemporanea. La generatività cominciava a dare i suoi frutti. Nel 1995, al primo Congresso Nazionale della Sezione Italiana della EFPP, si iniziò a parlare di Psicoterapia Psicoanalitica. Nel 1997 la nostra Società promosse una giornata scientifica sulla “Psicoterapia once a week: aspetti teorico-clinici”’. Queste riflessioni servono per affermare quanto il lavoro di ricerca sia stato lungo nel tempo e innovativo nel panorama scientifico. Gli approfondimenti erano focalizzati sullo studio della relazione, della tecnica, del processo e degli obiettivi terapeutici, sia nel privato che nel pubblico.
L'attenzione dei Pionieri, così mi piace chiamare i soci fondatori, era rivolta agli aspetti primitivi della mente, a quegli aspetti del Sé deficitari studiati da autori quali Winnicott, Klein, Fairbairn, Bion e molti altri. Si apriva la strada verso una competenza relazionale che assumeva nella cura un carattere elitario di cui la Psicoterapia Psicoanalitica offriva una maggiore possibilità di accorgimenti che fornivano cambiamenti insperati. Sembra obsoleto affermare che l’attenzione del modello psicoterapeutico era focalizzata soprattutto sullo sviluppo, sulla costituzione e costruzione di un setting psicoanalitico interno solido, ma flessibile allo stesso tempo. La vera formazione nasceva dall’esperienza, dalla capacità o possibilità dell’individuo, secondo il modello piagettiano di adatta- mento, di assimilare e adattarsi alla realtà. L’ascolto nei confronti dei pazienti non è stato diverso dalle analisi che conducevo con un setting classico. Avere lavorato per anni in Istituzione e avere contribuito alla teorizzazione sulla Psicoterapia Psicoanalitica ha comportato una maggiore responsabilità nel tenere dentro di me il paziente, insieme all’uso più accurato della regressione, del linguaggio e una maggiore attenzione alla relazione che rappresenta di per sé “la cura”. Mi sono sentita più libera e più creativa, con maggiori strumenti a mia disposi-zione, con una generatività ricevuta e da potere trasmettere. Insegnare ed essere supervisore mi ha profondamente arricchito. Forse ho ricevuto più di quanto ho dato. Nel mio “insegnare” sono partita, ricordando Bion, dalla condizione mentale del non-sapere verso il sapere, in quanto questa disposizione rappresenta l’apertura verso il conosciuto non pensato. Definire non significa capire. Il libro che ho scritto sulla Supervisione chiarisce meglio il mio pensiero. Credo che la cosa più importante nell’insegnamento sia aiutare l’allievo a raggiungere la consapevolezza del suo ruolo terapeutico e l’autenticità del suo essere persona, con un proprio stile, attento a non cadere in pericolose improvvisazioni. Il lavoro che ho svolto in un Servizio Materno Infantile mi ha offerto la possibilità di occuparmi dell’infanzia, degli aspetti non mentalizzati e non incorporati, della na- scita della mente, della funzione evolutiva del gioco, per citare solo alcune aree tematiche. Inoltre per anni ho partecipato ai seminari di Giannakoulas su Winnicott e ho in seguito condotto seminari su questo autore per la SIPP. Sono convinta della necessità, anche quando trattiamo un paziente adulto, di avere una conoscenza del bambino, se non proprio diretta, almeno su un piano teorico. Nel partecipare, infatti, alla costruzione del Training dell’Istituto di Formazione in Psicoterapia Psicoanalitica, ho considerato importante la scelta di introdurre la baby-observation. Siamo stati la prima Società che si occupava di adulti a credere necessario e importante questo insegnamento. Il bambino non cessa di operare anche nella vita adulta.
Nei miei seminari attribuisco molta importanza alla creazione del gruppo tenendo a mente gli assunti di base. Pur rimanendo fedele alla materia di insegnamento, cerco di aiutare gli allievi ad essere protagonisti del loro percorso formativo, considerandolo un’autoformazione. In questo modo gli insegnamenti li stimoleranno a sviluppare un pensiero autonomo e divergente, nel rispetto delle regole e delle conoscenze acquisite. L'apertura mentale è fondamentale nel nostro lavoro. Rivolgersi verso altre discipline stimola la curiosità e la capacità di sorprendere e di sorprendersi. Non dimentichiamo che la cretività è una delle funzioni del “cambiamento” e i nostri pazienti vengono da noi per cercare di cambiare la propria vita.
Ci sono state delle resistenze ad accettare l’evoluzione della teoria psicoanalitica verso la Psicoterapia Psicoanalitica, ma l’interesse per la crescita della SIPP ha prevalso sulle “credenze” del singolo. In ogni gruppo sono presenti aspetti difensivi e distruttivi. Alle nuove generazioni faccio l’augurio di non fermarsi sull’ovvio, su ciò che sembra acquisito, ma di lavorare sulla propria capacità di simbolizzare, di fantasticare, di fare esperienza di diversi aspetti del proprio Sé nella relazione con se stessi e con gli altri, ma soprattutto di pensare che nel nostro lavoro è imprescindibile la formazione permanente. Ogni persona, ho scritto in “Conversazione a due voci”, ha in se stessa un potenziale creativo che va nutrito con l’aiuto di un contributo esterno. Con le parole di Ferenczi suggerisco che è necessario apprendere dai propri errori, senza paura, cercando di padroneggiare le supposte debolezze, ampliando il campo di osservazione del proprio controtransfert. Il vero augurio che vorrei lasciare ai nuovi Psicoterapeuti Psicoanalitici non riguarda solo l'apprendimento di un metodo e di una tecnica, certamente fondamentali, ma soprattutto di sviluppare un campo metaforico, di profonda réverie, di linguaggio adeguato al vissuto del paziente, di gioco e di empatia, qualità necessarie per una buona rela- zione terapeutica. Generare apprendimento non è un fatto scontato, bisogna offrire modelli atti a fare sorgere nuove idee, ma è anche importante sentire di appartenere ad un consesso scientifico, riconoscersi in esso, provare anche un coinvolgimento generativo. Se si è riusciti a sviluppare nell’allievo la fiducia in se stesso, l’autonomia, l’iniziativa, la solidarietà, si può pensare di essere stati generativi.

Luigi Scoppola
Sono stato uno dei soci fondatori e primo presidente della SIPP. All’epoca della sua costituzione giuridica e identitaria ho avuto il compito di assisterne la nascita e seguirne gli esordi in un clima vivace ma anche conflittuale sulle scelte identitarie. Così come accade nel mondo intersoggettivo, nella nostra Società emergevano opinioni diverse tra posizioni più propositive di rinnovamento di obiettivi e metodi e orientamenti più conservatori e prudenti. La mia proposta di considerare anche il modello gruppo analitico nella formazione dell’allievo non trovava accoglimento. Il modello di riferimento SPI si offriva all’orizzonte come faro nella notte e, allo stesso tempo, incombeva sulle scelte programmatiche. Alcuni contributi esterni al gruppo si sarebbero rivelati appoggi sicuri.
La SIPP aveva davanti a sé un orizzonte programmatico da popolare di contenuti che si proponevano in uno spazio socio-culturale in pieno cambiamento: la Legge 180 cercava un percorso di applicabilità fuori, possibilmente, dalla coercizione ma doveva fare sempre più i conti con il mondo interno dei destinatari della legge. Successivamente veniva promulgato l’Ordinamento della professione dello psicologo, la Legge Ossicini. Allo stesso tempo era avvenuto un profondo cam- biamento dei quadri clinici dominanti con la comparsa di quadri psicopatologici fino ad allora ritenuti intrattabili e di non competenza della psicoterapia. Le Società psicoanalitiche non erano state chiamate a tali compiti: fronteggiare la psicosi della persona e anche la psicosi delle istituzioni di riferimento.
All’epoca della fondazione della Società, a parte il curriculum personale di formazione psicoanalitica, avevo acquisito una lunga espe- rienza di osservazione e partecipazione silenziosa al lavoro gruppo-analitico di pazienti gravi. Allo stesso tempo avevo alle spalle molti anni di esperienza medico-clinica in un grande ospedale della città. Questo il campo personale dal quale mi sono mosso per la realizzazione di un servizio di medicina psicosomatica di orientamento rigorosamente psicoanalitico, che ho allora realizzato nell’Ospedale S. Giacomo di Roma. Il modello da me condiviso nasceva dunque direttamente dall’esperienza di poter cogliere qua e là i segnali rimossi o negati di un disagio profondo presente nella mente del paziente, che si affacciava, in qualche modo, nella varietà di sintomi affidati alla richiesta di ascolto. Su questo tema era opportuno concentrare l’attenzione tra le parole non trovate e i segni di disagio profondo che si confondevano nella sofferenza somatica. Da qui nasceva una linea di ricerca che ho proposto più volte nella SIPP, quando era inizialmente intenzionata ad aprire un consultorio al pubblico. Proposi pertanto una metodologia di intervista-osservazione che consentisse, attraverso l’analisi del linguaggio, l’individuazione dei nuclei di origine di un disordine linguistico che compariva puntualmente al momento della comunicazione della sofferenza. Avevo intuito che in quel momento appare opportuno approfondire il più possibile i livelli della nascente relazione transfert-controtransfert. Il setting in tutta questa situazione si determina e si realizza nell’hic et nunc, adeguato e compatibile con la regressione verso i livelli più arcaici della mente. Mi sono reso conto che in quelle situazioni di sofferenza il controtransfert dell’analista non deve avere limiti partecipativi e che quando non riuscivo più a seguire il percorso tracciato dal paziente, ero giunto veramente al nu- cleo della possibile relazione analitica. Solo allora mi si aprivano prospettive di percorsi complessi ma transitabili. Le riflessioni su quanto ho cercato di elaborare le ho più volte presentate nei convegni e seminari della SIPP.
Ho cercato di portare tali riflessioni anche nell’attività di didatta, nella quale ho sempre considerato fondamentale la pratica dell’ascolto del candidato, ai livelli in cui lui si spingeva e che in lui riuscivo ad individuare. Più che di parole mi sembrava di cogliere il desiderio o, talvolta, il bisogno di ricevere ascolto. La lezione qui non esisteva, la scena era dominata dall’ascolto silenzioso, talvolta circoscritto in brevi interventi attraverso i quali accompagnare l’allievo su percorsi più agevoli, spesso verso livelli profondi della mente, in quell’andiri- vieni tra i diversi livelli che si sperimentano nella relazione con il paziente. Ho sempre ritenuto che il metodo, lo stile, la presenza e il con- tatto dovessero essere definiti nell’hic et nunc della relazione che coinvolge il paziente e il terapeuta, in quel misterioso contatto che può condurre verso epoche molto precoci della vita biologica e mentale. Molte ipotesi e conoscenze che ho potuto immaginare, elaborare e convalidare sono nate dalla lunga esperienza di rapporto che ho avuto con la vita, con la sofferenza, con il vivere e con il morire. Certamente molti interrogativi mi sono posto sul mio ruolo di anziano, di fondatore e di didatta della SIPP. Molta strada è stata percorsa e penso di aver contribuito alla crescita dell’identità societaria, anche nel dissenso che talvolta ho manifestato. Alcuni temi mi sono stati particolarmente a cuore: il problema del trattamento dell’esperienza di malattia, il rapporto medico-paziente, l’intervento possibile nelle circostanze di fine vita e di negazione della morte. Il problema mente-corpo è stato costantemente presente nella mia riflessione clinica, nella convinzione, radicata nella clinica e nelle neuroscienze, secondo cui mente e corpo sono misteriosamente inscindibili e che l’origine di tale condizione vada rigorosamente ricercata nello studio dei modelli della bi-logica (Matte Blanco) presenti nel mondo della biologia, della mente e, più diffusamente, in tutte le scienze e nelle arti. Molti appuntamenti ci attendono nel percorso futuro della SIPP ed appare indifferibile l’apertura a conoscenze e prospettive terapeutiche che tengano conto di nuove realtà. Il confronto con alcuni approcci di tipo psicoterapeutico e la diffusione di informazioni approssimative riguardanti la vita mentale e biologica della persona talvolta rappresentano, secondo il mio punto vista, un serio pericolo di confusione sui problemi centrali della vita mentale della persona. La SIPP è chiamata a mantenere con rigore la propria identità psicoanalitica, non per rinchiudersi nella torre fortificata ma con l’intento di approfondire la propria identità in un confronto coraggioso con i progressi della scienza e degli studi filosofici.
Sul piano clinico applicativo ritengo indispensabile che la formazione degli allievi guardi al contesto della domanda. Un tema molto sentito è quello della sofferenza, in generale, lo “star male”, senza spiegazioni né commenti, ma solo lamento da parte del paziente. Su tale tema si infrange la medicina corrente con la proposta ineluttabile di trovare un farmaco cui far ricorso, in mancanza di un valido interlocutore. Può esistere un intervento psicoanalitico non differibile o addirittura di urgenza? Mi sono trovato alcune volte in questa contingenza. Veramente impegnativo e coraggioso, l’intervento, ma talvolta anche efficace e risolutivo.
All’interno del lavoro istituzionale ho trovato di grande rilievo l’approccio interdisciplinare nell’istituzione di ricovero: un doppio livello di intervento con il quale l’istituzionale, che necessita di una dimensione psicoanalitica di profilo gruppale, deve intersecarsi con la verticalità del mondo interno del paziente.
Dall’esperienza accumulata nel corso dell’attività professionale mi sono sempre più convinto della necessità che l’allievo, attraverso un processo maturativo analitico adeguato, raggiunga una libera capacità di insight, che gli consenta di iniziare a vivere con consapevolezza la propria relazione con l’altro, per definizione diverso da sé.
Da molti anni sono alla ricerca di nuovi approfondimenti sul tema della relazione mente-corpo: lì si celano gli snodi più segreti della psi- copatologia. Ritengo che sia giunto il momento per una profonda evoluzione trasformativa del modello strutturale della psicoterapia psicoanalitica e che tale evoluzione debba essere funzionale ad una rinvigorita e attuale identità della SIPP.

 

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per concessione dell'Editore Franco Angeli dalla Rivista Psicoterapia Psicoanalitica

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